Il made in Italy preferisce la Tunisia

non solo magliette e call centers

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  1. M U R P H Y
     
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    Ecco il made in Italy che preferisce lavorare a Tunisi

    Capofila fu Benetton, che all'inizio degli anni '90 si spostò in Tunisia per cucire e confezionare gli abiti
    + "Tra tasse e burocrazia da noi le imprese chiudono"

    Dal tessile alla meccanica le società sbarcano sulla Quarta sponda
    «Basta con le lotte quotidiane, qui poche tasse e niente burocrazia»
    MARCO ALFIERI (La Stampa)


    Ottaviano Mattavelli è di Gorgonzola ma da un paio d’anni vive a Sousse, in una villetta con le palme. La sua azienda, Energia del Sole, s’è trasferita in Tunisia. Anche grazie al fondo Euromed della Camera di commercio di Milano, costruisce pannelli solari per la produzione di acqua calda. «Abbiamo realizzato la nostra fabbrica da 50 addetti vicino a Sousse - racconta - in un’area in via di sviluppo dove beneficiamo di sgravi fiscali». Per l’installazione dei pannelli il governo di Tunisi concede ai privati un contributo a fondo perduto, «mentre il restante 80% viene sovvenzionato da un credito garantito». Tutta manna per un fatturato che ha ormai raggiunto i 5 milioni, la metà dei ricavi fatti dalla casa madre in Lombardia. In Nord Africa lo stipendio medio di un operaio sfiora i 350 euro lordi e per chi importa semilavorati ed esporta il prodotto finito, ma vende anche sul mercato interno, il sistema doganale è molto agevole: ogni fabbrica ha la sua dogana interna che provvede a bolli e permessi.

    Il parco industriale
    Il vicentino Isnardo Carta in Tunisia sta costruendo un grande parco industriale. A Efidha, un’ottantina di chilometri sotto Tunisi. Duecento ettari di distretto di cui 50 già operativi. Di fianco, lungo la costa, corrono l’autostrada e la ferrovia e l’anno prossimo sarà pronto il porto acque profonde, un terminal container in grado di movimentare 5 milioni di Teu. Sarà il più grande del Paese. Al pari del nuovo aeroporto internazionale. Insomma «una grande area logistica che farà da volano al nostro parco industriale».

    Il suo business è costruire fabbricati industriali e nel Bengodi tunisino si è trasformato: impiega 100 addetti e ha ormai pareggiato il fatturato della divisione italiana (15 milioni di euro). Perché in Tunisia? «Se fosse possibile lavoreremmo in casa. Ma il Paese non si sviluppa più, ha un brutto habitat tutto tasse e burocrazia. Chi può impiantarsi all’estero, portando competenze e tecnologia, lo sta facendo. Solo così posso permettermi di mantenere un presidio italiano».

    I vantaggi
    La vicenda dei tanti Carta e Mattavelli racconta molto della seconda ondata di imprese italiane in Tunisia. Un Paese che offre manodopera qualificata e a basso costo, procedure semplificate, infrastrutture funzionali e una pressione fiscale sforbiciata dal 35 al 24 per cento. Ma soprattutto offre alle società totalmente esportatrici zero tasse sui primi dieci anni di investimento e zero Iva, più contributi statali per chi apre nelle regioni sottosviluppate, e la riduzione al 2,5% della ritenuta alla fonte sui compensi per professionisti che prestano servizi alle società non residenti (regime off-shore). Se si aggiunge che il libero accesso ai mercati Ue è garantito dal 1° gennaio 2008 e che la «democratura» del presidente Ben Alì garantisce stabilità politica e un liberismo temperato, ecco spiegato l’eldorado.

    In principio furono i tessili
    Capofila i Benetton che all'inizio dei Novanta vengono qui a cucire e confezionare le idee a colori progettate a Ponzano Veneto. Con loro arrivano altri gruppi: da Miroglio-Gvb al gruppo Marzotto a Cucirini (oggi sono presenti 260 aziende). Poi è la volta di costruttori ed energetici (e le banche) per alimentare la fame di infrastrutture di un Paese in grande crescita (Todini, Colacem-Safas, Fonderie Gervasoni, Eni, Snam, Terna, Ansaldo). Ma la vera novità è dell’ultimo biennio e te la spiegano dall’ufficio commerciale dell’ambasciata d’Italia a Tunisi. Alle produzioni ad alta intensità dei terzisti, reimportate in Italia sfruttando un costo medio di manodopera che al lordo arriva al 40% di quello tricolore, si sovrappone ormai una migrazione di piccole e medie imprese del segmento meccanico-elettronico a discreta tecnologia, alimentare e tessile high-tech, attratte da un sistema-Paese conveniente e insieme piattaforma commerciale per i Paesi dell'accordo di Agadir (Egitto, Tunisia, Marocco e Giordania) che dal 2006 si scambiano merci e prodotti senza dazi. Un mercato da 125 milioni di potenziali consumatori, una specie di Cina sotto casa.

    La tuta di Vale Rossi
    Nel parco di Efidha si sono appena insediate Dainese (tute di protezione per motociclisti, quelle di Valentino Rossi), che ha spostato in Tunisia la produzione finora affidata a terzisti centroeuropei e asiatici; la casa di abbigliamento sportivo Melt; la Inforsystem srl (elettronica di precisione); la Ums (meccanica) e la Electrotech Maghreb (elettronica).

    A Biserta, nel Nord Ovest del Paese, la Clerprem di Carrù produce i poggia braccia in pelle per l’Audi e in soli 13 mesi è rientrata dall'investimento. In Italia ci avrebbe messo 5-6 anni. Mentre a Sfax la parmense Almed (preforme per bottiglie) sta montando il suo nuovo stabilimento. Ma è un getto continuo: la Fipa, l’agenzia di attrazione degli investimenti di Tunisi, sta facendo road show frequentatissimi in giro per l'Italia. Escluso il settore energia, sono ormai 704 (per 55 mila addetti) le aziende italiane presenti in Tunisia. Con 1.200 imprese censite solo i francesi ci stanno davanti, per ovvie ragioni post coloniali.

    Il futuro è Mediterraneo
    Guardando il boom tunisino, si capisce che il nostro futuro sarà euro-mediterraneo o non sarà. Lo siamo per storia e geografia - muratori e pescatori siciliani, navigatori e mozzi genovesi e livornesi sono sbarcati in Tunisia ben prima dei cugini rivali francesi - purtroppo non più per economia e geopolitica. «Lo sbocco a Sud è un capitolo espulso dal nostro immaginario collettivo, dobbiamo recuperare la dimensione mediterranea dei nostri scambi se non vogliamo declinare», spiegano alcuni diplomatici di stanza in Nord Africa.

    Invece troppo spesso le nostre imprese arrivano per sfuggire l’habitat italiano, sull'onda emergenziale di costi fissi non più sostenibili. Senza cogliere appieno il potenziale di un investimento strategico sulla quarta sponda. «Potremmo fare molto di più in termini di internazionalizzazione», ragiona Carta. I giapponesi sono presenti pesantemente nel cablaggio auto, i tedeschi hanno gruppi nell'elettronica da 4 mila addetti, i francesi stanno sbarcando con Airbus. «Questa oggi è la Tunisia, non solo magliette e call center». Il cancello su un mondo da cui transita un terzo delle merci che si scambiano nel globo e non può certo esaurirsi sotto la tenda del colonnello Gheddafi.
     
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  2. sara2
     
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    ciao mi chiamo sara sono tunisina ho 19 ani e abito in italia da quando sono nata e sto cercando un lavoro ..grazie
     
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1 replies since 2/11/2010, 23:40   772 views
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